venerdì 24 novembre 2017

La dinamica di Vicchio

Domenica 29 luglio 1984 Pia Rontini, 18 anni, poco dopo le 21 era uscita dalla sua casa di Vicchio nel Mugello per raggiungere a piedi quella del fidanzato, Claudio Stefanacci, di tre anni più grande. Quasi immediatamente i due giovani avevano preso la Fiat Panda 30 di Claudio e se n’erano andati per i fatti loro. Come di consueto i genitori ne attendevano il ritorno entro le 22.30, e quando non li videro non passò molto tempo prima che si preoccupassero e avvertissero alcuni amici, i quali, già verso l’una, erano in giro per tutta Vicchio a cercarli. Poi uno di loro si ricordò di aver visto uscire in una precedente occasione la Panda di Claudio da un tratturo in un bosco, poco fuori dal paese. E lì i poveretti furono ritrovati, uccisi dal Mostro di Firenze.
Dopo due delitti nei quali si era lasciato andare a una certa improvvisazione, nell’estate del 1984 il Mostro scelse bene le proprie vittime, o, meglio, scelse bene la piazzola della quale esse erano abituali, anche se non uniche, frequentatrici. Innanzitutto tornò nella zona del Mugello, dove aveva colpito dieci anni prima e dove forse l’allarme nei giovani era minore. Poi scelse un tratturo che si addentrava nel bosco, lontano dalle abitazioni, con l’auto dei malcapitati che non era visibile dalla vicina provinciale. E questa volta i risultati furono ottimali, come era stato nel 1981.
Prima di proseguire con la dinamica e la puntualizzazione di alcuni aspetti controversi del delitto, è bene ricordare l’esistenza di un ottimo studio del forumista Rover che affronta l’intera materia in modo approfondito. Il relativo documento è scaricabile qui.

Scena del crimine. La piccola auto a due porte era parcheggiata in retromarcia contro il fondo di una stretta strada sterrata, a una sessantina di metri circa dall’imbocco sulla provinciale, dalla quale risultava non visibile per la presenza di una curva. La coda e il lato sinistro erano addossati a una collinetta erbosa; sul lato destro siepi e cespugli di rovo, interrotti da un abbozzo di sentiero che dopo pochi metri sfociava in un campo d’erba medica.



La portiera sinistra era chiusa dall’interno, con il vetro del finestrino intatto abbassato di pochi centimetri, quella destra chiusa ma non bloccata, il vetro infranto, la maggior parte dei frammenti all’interno. I sedili anteriori erano basculati in avanti, a dare spazio alla parte posteriore dove il divanetto era stato tolto scoprendo la piattaforma sottostante sulla quale giaceva il corpo del ragazzo, poggiato sul fianco sinistro, in posizione quasi fetale. Indossava maglietta, slip e calzini; sotto il sedile anteriore le sue scarpe, sulla piattaforma i suoi pantaloni bucati da un proiettile assieme al portafoglio riposto in una tasca. 
La ragazza giaceva in mezzo alla vegetazione del campo adiacente, in posizione supina, a circa sette metri dall’auto. Era completamente nuda, con il reggiseno e la camicetta, il cui polsino doveva essere ancora abbottonato, impigliati nella mano destra, lo slip, tagliato dall’assassino, sotto il corpo, mentre i jeans e le scarpe vennero ritrovate in auto sotto il sedile anteriore destro, assieme alla borsetta. Come indicavano i numerosi graffi presenti sulla schiena, l’assassino l’aveva trascinata per i piedi attraverso il varco tra i cespugli, in cerca di una posizione idonea a mutilarne il cadavere, questa volta oltre che del pube anche del seno sinistro.


Bossoli e ferite. Furono recuperati cinque bossoli: uno sul terreno a ridosso dello sportello destro (contrassegno 2 della foto sottostante), gli altri quattro all’interno dell’abitacolo.


Non molto si sa dei proiettili, non essendo per il momento reperibile la perizia balistica. In una pagina del rapporto della Scientifica entrata in possesso di chi scrive si legge che ne furono recuperati quattro più un frammento (con un paio di affermazioni probabilmente inesatte, lo vedremo). In ogni caso esiste la ragionevole certezza che, a fronte di tre ferite d’arma da fuoco sul ragazzo, una e forse una seconda di striscio sulla ragazza e un colpo a vuoto sui pantaloni del ragazzo i colpi sparati fossero comunque stati tanti quanti i bossoli raccolti, e cioè cinque.


Claudio fu colpito da: un proiettile all'emítorace sinistro (1), penetrato di pochi millimetri e ritenuto nella cute sottostante, da ritenersi pertanto quello che frantumò il vetro con conseguente grossa perdita di energia; un proiettile all’ipocondrio sinistro (3, il 2 fu probabilmente quello sui pantaloni), con traiettoria dal basso in alto e attraversamento del diaframma, dello stomaco e del polmone sinistro, per una ferita molto grave ma non subito mortale; un proiettile dietro il padiglione auricolare sinistro (4), con sfondamento della scatola cranica ed esito mortale quasi immediato.
Secondo la perizia De Fazio, il proiettile (3) si arrestò in regione dorsale dove venne estratto, mentre al processo Pacciani l’anatomopatologo che eseguì l’autopsia, Mauro Maurri, affermò che invece era uscito. Chi scrive dà credito a De Fazio, considerati i tentennamenti di Maurri, che ricordava spesso male e mentre deponeva era costretto a consultare la sua stessa perizia che non aveva letto preventivamente. Infine va registrata la presenza di una piccola lesione vicina alla ferita all’emitorace (1), causata forse da un piccolo frammento dello stesso proiettile staccatosi dal corpo principale oppure da una scheggia di vetro.
Sul ragazzo si contarono dieci ferite di coltello, tutte vibrate a decesso già avvenuto, che la perizia De Fazio così posiziona: “all'emitorace sinistro, al fianco sinistro, all'ipocondrio, alla fossa iliaca destra, all'avambraccio destro, alla coscia sinistra ed in regione lombare destra”.


Pia fu colpita da un proiettile alla regione zigomatico-mascellare destra (5), penetrato nella scatola cranica e quasi immediatamente mortale. Le fu anche riscontrata una ferita di striscio all’avambraccio sinistro, a giudizio di chi scrive dovuta a un frammento di vetro o di proiettile del colpo che ruppe il finestrino.
Sulla ragazza si contarono due ferite di coltello, entrambe sul lato destro del collo, e sette piccole ferite superficiali accanto alla zona del seno escisso, evidentemente degli assaggi.

Il “letto” della Fiat Panda. Anche se non è strettamente necessario per la ricostruzione del delitto, è comunque il caso di spendere qualche parola sullo smontaggio del divanetto posteriore della Fiat Panda degli anni ’80. Chi c’era ricorderà senz’altro il grande successo che la piccola utilitaria ebbe tra i giovani, al quale fu probabilmente non del tutto estranea una sua peculiare caratteristica: la possibilità di disporre i sedili anteriori e posteriori in modo da ottenere qualcosa di molto simile a un vero e proprio letto, come mostra la maliziosa immagine pubblicitaria sottostante. 


Si trattava di smontare il divanetto posteriore, collocarlo aperto e fissato agli opportuni fermi sul ripiano in lamiera, tirare in avanti al massimo i sedili anteriori privati dei poggiatesta e poi abbassarne del tutto lo schienale, per un’operazione di pochi minuti, una volta presa la mano. Dalle due figure sottostanti si comprende bene tutto.


Una volta smontato, il divanetto poteva anche essere chiuso a libro e inserito tra il ripiano posteriore e i sedili anteriori. In questo modo l’auto veniva a dotarsi di un ampio spazio per il trasporto di cose.
La Panda di Claudio fu trovata con il divanetto, chiuso a libro, appoggiato sul ripiano posteriore contro la parete sinistra e i sedili anteriori basculati in avanti con il poggiatesta inserito. In ogni descrizione del delitto viene sempre sottinteso che fosse questa la configurazione finale voluta dai ragazzi (ad esempio Autorino al processo Pacciani: “Sia il sedile che la spalliera posteriore sono stati tolti dalla loro naturale sede, chiusi a libretto e appoggiati lungo la paratia sinistra, in modo da far sì che il pianale sia più grande.”). Ebbene, a parere di chi scrive lo si può invece escludere senza dubbio alcuno. Non avrebbe avuto senso né scegliere la durezza della lamiera – pur se un po’ mitigata dalla copertura in moquette – al posto dell’imbottitura del divanetto né rinunciare all’ampliamento del piano di appoggio facilmente ottenibile abbassando le spalliere dei sedili anteriori, dopo averne sfilato i poggiatesta. Al massimo, se i ragazzi avessero voluto guadagnare tempo, avrebbero semplicemente reclinato i sedili anteriori evitando di smontare il divano.
In realtà l’attacco del Mostro avvenne durante la fase preparatoria, mentre la coppia si stava attrezzando per disporre i sedili nella configurazione finale a letto, sul quale si sarebbero distesi mettendosi poi addosso la coperta che si erano portati dietro. Il fatto che avessero iniziato a spogliarsi già prima si spiega con la loro intenzione di riporre i vestiti al di sotto della struttura, dietro i sedili anteriori, dove in effetti furono trovati i jeans e la borsa di Pia e le scarpe di entrambi, mentre i pantaloni di Claudio erano ancora temporaneamente appoggiati sul ripiano posteriore accanto al divano chiuso.
Si potrebbe anche discutere su quale sarebbe stata una sequenza più logica per arrivare al “letto” montato e ai vestiti riposti al di sotto. In particolare si può osservare che sarebbe stato meglio, prima di iniziare a spogliarsi, fissare già il divano alla piattaforma. Ma è comprensibile che la frenesia di fare l’amore e il poco tempo a disposizione avessero potuto determinare nei due giovani dei comportamenti non del tutto razionali.

Elementi controversi. Se il delitto non pone particolari problemi per una sua ricostruzione di massima, diventa molto difficile precisarne i dettagli nella sequenza di spari combinata con le singole ferite sui corpi. Questo perché non sappiamo bene quale fosse la posizione delle vittime al momento dell’attacco, sia reciproca sia rispetto allo sparatore. Le macchie di sangue ci dicono che si trovavano dietro, su questo non ci sono dubbi, ma erano entrambe sedute?
Lasciando perdere quello di striscio all’avambraccio, del quale non è nota la traiettoria, si deve innanzitutto osservare che mentre l’unico altro colpo alla ragazza ha avuto ingresso dal lato destro del corpo, tutti e tre i colpi sul ragazzo hanno avuto ingresso dal lato sinistro. Sappiamo che l’attacco è avvenuto attraverso il finestrino anteriore destro, quindi si deve per forza ritenere che la ragazza fosse a faccia avanti e quindi esponesse il suo lato destro allo sparatore, e il ragazzo fosse a faccia indietro, e quindi esponesse il suo lato sinistro.
Un altro elemento che può aiutare a capire la posizione di partenza delle vittime è quella finale del ragazzo, trovato sulla piattaforma posteriore riverso sul fianco sinistro, proprio quello che aveva ricevuto i colpi di pistola. D’altra parte le dieci coltellate erano distribuite sia sul fianco sinistro sia sul destro. Tutto questo ci dice che il Mostro ne aveva spostato il corpo facendogli compiere una rotazione. Perché? Il motivo non può essere che uno: al momento in cui doveva essere estratto, il corpo di Pia era in qualche modo bloccato da quello di Claudio. Quindi è presumibile che al momento dell’attacco i due poveretti fossero uno di fronte all’altro, e che Claudio, colpito a morte, si fosse accasciato almeno in parte addosso a Pia.
A parere di chi scrive, mentre la ragazza si stava svestendo seduta sulla parte destra della piattaforma – di fronte al sedile del passeggero basculato verso il cruscotto – il ragazzo le si era accosciato davanti per “aiutarla” a fare in fretta, in un gioco amoroso privo di vantaggi pratici ma che è facile comprendere, considerando quanto dovevano essere “su di giri” i due sventurati giovani. Del resto anche la camicetta che Pia si era tolta con ancora il polsino destro abbottonato conferma il loro stato di eccitamento.
L’immagine sottostante cerca di dare un’idea della situazione. Purtroppo la mancanza di una Panda dell’epoca ha costretto chi scrive a utilizzare un letto, per questa e per le prossime fotografie ricostruttive.


Infine qualche parola sui pantaloni di Claudio. Abbiamo visto che furono trovati sulla piattaforma posteriore, accanto al divanetto chiuso a libro, che forse almeno in parte li sormontava. Una pallottola ne aveva attraversato la tasca posteriore destra, forando da parte a parte il portafoglio ivi riposto e rimanendone poi intrappolata. Infine sul gluteo destro di Claudio fu riscontrato un ematoma. Il che ha fatto prendere in esame l’ipotesi che al momento degli spari il ragazzo avesse i pantaloni addosso, e che fosse stato il Mostro a toglierglieli dopo. A conferma Rover ha anche osservato che i suoi calzini sembrano in parte sfilati a decesso già avvenuto, con le macchie di sangue che non corrispondono alla pianta dei piedi (presumendo quindi che gli stessi avessero poggiato a terra prima dello spostamento del corpo).


A giudizio di chi scrive l’operazione è però da escludere. Non se ne comprende il motivo, e non si vede come il Mostro avrebbe potuto compierla nelle ristrettezze dello spazio a disposizione, per di più su un corpo non collaborativo. L’ematoma sul gluteo, se non preesistente, dovette essersi formato per un urto contro la lamiera della piattaforma durante la sparatoria, mentre riguardo le macchie di sangue sui calzini è opportuno osservare la foto seguente, presa da altra angolazione.


L’immagine purtroppo è in bianco e nero, ma consente comunque di osservare che i calzini di Claudio furono inzuppati dal sangue proveniente dalla piattaforma, quando il ragazzo era già deceduto.

La dinamica. Prima di descrivere una plausibile dinamica, è bene ribadire il fatto che i risultati saranno per forza affetti da una certa approssimazione, più che nei casi precedenti. In ogni modo chi scrive preferisce proporre comunque una ben precisa sequenza di sparo, che quantomeno potrà costituire un punto di partenza per eventuali riflessioni del lettore.
Conosciamo con precisione l’ora dell’attacco, le 21.45, poiché due testimoni riferirono separatamente di aver udito a quell’ora dei colpi d’arma da fuoco provenire dalla zona; il che si accorda in ogni caso sia con gli orari di uscita e di presunto rientro dei ragazzi sia con la fase preparatoria in cui i due si trovavano. Al loro arrivo quasi certamente il Mostro stazionava già nei pressi, sulla collinetta adiacente, da cui poteva disporre di un’ottima visuale della zona. Ancora con grande probabilità l’individuo aveva parcheggiato la propria auto sulla sterrata che portava al fiume Sieve, dall’altra parte della provinciale.
Nel tempo in cui il Mostro si era portato sul campo di erba medica accanto al lato destro della Panda, i ragazzi avevano effettuato le loro convulse manovre di parziale preparazione del “letto” e parziale svestizione, con Pia che ancora teneva la camicetta e il reggiseno infilati al braccio destro. La luce era accesa.
L’attacco avvenne dal lato passeggero, visto che da quello guidatore non c’era spazio, e, come al solito, il primo bersaglio fu il ragazzo.


Favoriti dal silenzio del bosco e dalla piccola apertura del finestrino lato guida, i rumori prodotti dai movimenti dell’assassino in mezzo ai cespugli erano arrivati alle orecchie di Claudio, che aveva guardato verso il finestrino girando parzialmente il busto. Un primo colpo infranse il vetro e lo colse al torace, ma non penetrò oltre il derma, poiché, per l’angolo d’impatto non ortogonale alla superficie vetrosa, il proiettile aveva incontrato una notevole resistenza, e quindi si era frammentato e molto rallentato. I due poveretti furono anche investiti da schegge di vetro e di metallo, alle quali si devono sia una piccola lesione  al torace di Claudio, sia forse la ferita di striscio all’avambraccio di Pia.


Con una reazione istintiva Claudio fece perno sulle gambe e saltò sopra la piattaforma finendo un po’ sul fianco destro e almeno in parte addosso alla fidanzata, con l’istintivo proposito di proteggere lei e insieme allontanarsi dalla minaccia. È probabilmente questa l’occasione in cui il gluteo destro del ragazzo impattò su una superficie dura, da cui il successivo ematoma. Intanto l’aggressore infilò rapidamente una mano dentro il finestrino facendo cadere molti frammenti del vetro nell’abitacolo, e sparò altri due colpi in successione, di cui uno finì fuori bersaglio colpendo i pantaloni riposti sulla piattaforma, l’altro colpì Claudio all’addome. Lo stomaco del ragazzo fu attraversato dal proiettile, e iniziò a espellere cibo e sangue che andarono a ostruire le vie respiratorie per diventare forse (documento di Rover) causa effettiva di morte.


Con Claudio gravemente ferito e Pia immobilizzata dal suo corpo e in ogni caso intrappolata nel dietro dell’auto, l’assassino dovette prendersi un momento di pausa per valutare la situazione, prima di riprendere a sparare, come del resto si arguisce dalla testimonianza di chi aveva udito i colpi: “Alberto C. e Piero C. […]  udirono […] tre o quattro colpi […] in rapida successione, seguiti a breve distanza da altri due colpi” (Al di là di ogni ragionevole dubbio). Non è possibile stabilire quale fu il primo e quale il secondo, in ogni caso i due proiettili successivi colpirono Claudio dietro l’orecchio sinistro e Pia allo zigomo destro, entrando entrambi nella scatola cranica e mandando in coma i due poveretti.
Riposta la pistola e messo mano al coltello, il Mostro tirò su la sicura e aprì la portiera, e fu forse in quest'occasione che lasciò sulla cornice superiore due serie di impronte risultate purtroppo non utili, ma che in ogni caso ci dicono che non portava i guanti. Suo scopo era quello di tirare fuori il corpo di Pia, il quale però era bloccato da quello di Claudio. Il ragazzo doveva dare ancora dei segni di vita, considerate le ben dieci coltellate che ricevette. Le prime gli furono vibrate subito, sulla parte sinistra. Poi il Mostro lo spinse via, facendogli compiere una rotazione di 180 gradi, e lo accoltellò ancora sulla parte destra.
Una volta liberato il suo corpo, il Mostro prese per i piedi Pia e la trascinò fuori. Quando le vibrò le due coltellate sulla parte destra del collo, mentre era ancora in auto o dopo? La domanda non è inutile, poiché, per il presunto pentito Giancarlo Lotti, Mario Vanni lo avrebbe fatto fuori dall’auto. In effetti in auto il Mostro avrebbe dovuto scegliere il lato sinistro del collo, non il destro, quindi si deve pensare che l’avesse accoltellata fuori.

Gli aloni. Sul fascione paracolpi in materiale plastico che ricopriva la parte inferiore della portiera destra della Panda furono osservate due impronte da asportazione di polvere, di forma più o meno circolare (10x6cm, secondo Autorino al processo Pacciani). Si trattava senza dubbio dell’effetto dovuto all’appoggio di ginocchia. Supponendo che fosse stato il Mostro a lasciarle, De Fazio e colleghi cercarono di trarne indicazioni utili a calcolare la sua altezza.

Sul fascione della portiera destra della Panda dello Stefanacci sono state rilevate due impronte, dovute all'asportazione della polvere della portiera, e sul gocciolatoio della stessa fiancata delle impronte digitali. Sembra possibile ipotizzare che qualcuno, forse l'omicida, abbia appoggiato una mano sul tetto dell'auto e, chinandosi per compiere una qualche operazione attraverso il finestrino, abbia toccatocon le ginocchia la portiera, lasciando le predette impronte.  Il margine superiore di esse dista dal suolo circa cm.60, mentre il punto medio dista circa cm.56 e quello inferiore cm.53 circa. Assumendo come riferimento il punto medio, probabilmente corrispondente alla regione medio-rotulea, si può attendibilmente presumere che la distanza di esso da terra corrisponda alla lunghezza della gamba, piede e scarpa comprese; ciò potrebbe valere a fornire qualche ulteriore indicazione in ordine alla statura del soggetto. Un primo elemento può essere tratto dall'utilizzazione delle tavole antropometriche del Rollet che ad una lunghezza dell'osso tibiale di cm.43 riferiscono, per l'uomo, una statura di cm.183. L'eccedenza di cm.13 del valore di cui si dispone (cm.56) può compensare ampiamente la differenza dovuta al piede, alla scarpa ed alla parte del ginocchio sovrastante la tibia, posto che la "misura" è riferita alla gamba e non alla sola tibia. Il dato, anche se molto approssimato, sembra deporre, o quanto meno non sembra in contrasto con l'ipotesi di una statura superiore a cm.180.

Cominciamo con l’avallare decisamente l’ipotesi che fosse stato il Mostro a lasciare quelle impronte. Chi prima di lui avrebbe potuto accostarsi con le ginocchia alla portiera della Panda? Nessuno appoggia le proprie ginocchia alla portiera di un’auto, non se ne vede il motivo. Non lo fa un estraneo, ma neppure il proprietario. In ogni caso non sembra che Claudio Stefanacci fosse molto alto – chi scrive però non ha il valore preciso della sua statura, forse qualche lettore potrebbe saperne di più – quindi le ginocchia non erano le sue.
Ma torniamo al calcolo della presunta statura dell’assassino. Gli esperti di Modena si limitano a valutarla “superiore a cm.180”, ma i loro calcoli confusi non lasciano molto tranquilli. Proviamo a ripeterli, prendendo come riferimento la stessa immagine utilizzata nel precedente articolo sul delitto di Giogoli.


Come si vede, l’altezza del punto inferiore del ginocchio è circa un quarto della statura dell’individuo. Se consideriamo il caso in esame, tale valore è di 53cm, da diminuirsi a circa 50 per la presenza di una scarpa con il suo tacco. Il che porta a calcolare una statura per il Mostro di circa 2 metri, la quale, data la sua altissima improbabilità (quanti in Italia sono alti intorno ai 2 metri, uno su mille?), appare decisamente troppo elevata.
In realtà quando il Mostro aveva appoggiato le ginocchia alla portiera della Panda, doveva essere stato in punta di piedi. In quel momento aveva sentito l’esigenza di stabilizzare la propria posizione spingendo con le ginocchia e tirando con una mano abbrancata da qualche parte, forse al profilo a rilievo sul tettuccio. Era molto vicino alla portiera, e il gesto istintivo per arrivare a toccarla fu quello di fare perno sull’articolazione del piede. L’immagine sottostante cerca di dare un’idea dell’azione.


Il guadagno sull’altezza del ginocchio è al massimo di una decina di centimetri. Se si vuole arrivare a una statura del Mostro di un metro e ottanta, si deve ipotizzare che esso fosse stato di otto centimetri, con il che l’altezza della base del ginocchio sarebbe stata dei 45 necessari.

Il mistero del proiettile ramato. Il lettore sa bene che, a partire dal delitto di Scandicci fino all’ultimo di Scopeti, il Mostro usò sempre proiettili in piombo nudo, probabilmente tutti appartenenti alla medesima scatola da 50. Con l’unica eccezione di Giogoli, dove ne sparò anche uno ramato, come quelli utilizzati nel 1974 a Borgo, quindi una probabile rimanenza della scatola di allora. A leggere invece una pagina del rapporto della Scientifica compilato per il PM un proiettile ramato sarebbe anche tra quelli recuperati a Vicchio. 


Dai cadaveri sono stati estratti, e qui consegnati, nr.3 proiettili di piombo nudo, di cui uno ovalizzato, un proiettile di piombo ramato ovalizzato, ed un frammento, reperti che vengono qui custoditi a disposizione della S.V.

Cominciamo col rilevare la presenza di una inesattezza che riguarda i proiettili estratti dai corpi: non furono quattro ma tre – se quello all’addome di Claudio non era uscito dalla schiena, altrimenti due – più il frammento rinvenuto sotto la pelle del torace di Claudio. Come abbiamo visto, un altro proiettile, andato fuori bersaglio, rimase nella tasca dei pantaloni del ragazzo.
Ma chi compilò il rapporto commise un altro e più grave errore, elencando tra i proiettili recuperati uno del tipo ramato. Di quel proiettile non si è mai saputo nulla, quindi la successiva perizia balistica, purtroppo non disponibile a chi scrive, senz’altro non lo rilevò. Chi vede il Mostro di Firenze come un imprendibile genio del male farebbe bene a riflettere su particolari come questo.